mercoledì 21 febbraio 2007

SALVA LA TUA IGUANA, MA LASCIA FUORI IL CATTIVO ODORE!

SALVA LA TUA IGUANA, MA LASCIA FUORI IL CATTIVO ODORE!
[dalla biografia di Harold Boilyamum – Save your Iguana, but leave the smell outside! Traduzione dall’inglese di Jeremy L’Ascella]

[…] L’Iguana ha rappresentato nella mia vita quell’accidente fortuito che muta il corso di un’esistenza. Era un aprile freddo, gelido. E a me sia l’aria calda che quella fredda creano sconvolgimenti che non sto qui a spiegarvi. Se aggiungete che la sera prima ci siamo sbronzati a morte con gli amici comincerete a farvi un’idea della situazione. Quella mattina avevo un importante colloquio di lavoro e il direttore dell’azienda m’aspettava per le 11 del mattino nel suo ufficio. Mentre seduto sul sedile in pelle della mia macchina percorrevo i 20 chilometri che mi separavano dall’ufficio ascoltando un rilassante notturno di Chopin per cercare di allontanare il nervosismo crescente mi resi conto che la situazione andava degenerando con la rapidità di un vortice impazzito. Quelle che investivano il mio apparato uditivo non erano solo terzine e quartine di origine polacca, ma anche interferenze anali di produzione propria! Mio Dio, mi sono detto, e adesso come ne vengo fuori? Ovviamente queste interferenze non aggredivano solo le orecchie, ma anche le narici, e con una violenza agghiacciante. Anche Ridley sembrava non apprezzare quella sinfonia. Ma le possibilità di rimandare il colloquio erano pari a zero. Una volta sedutomi davanti al direttore le mie viscere si contorcevano per venire fuori o per rilasciare almeno un pizzico del loro sapore. Io dal mio canto facevo di tutto attraverso degli strani giochi circensi per evitare il licenziamento prima ancora dell’eventuale assunzione. Certo Ridley non mi aiutava in questo. Poi il direttore fu chiamato dalla sua segretaria nell’altra stanza e io mi sentii nel pieno diritto di lasciar sfogo a tutta la mia potenza di fuoco. Quello che si fece strada dall’interno del mio corpo ebbe la forza di uno sconvolgimento climatico. Escluso che dall’altra stanza si potesse non essere udito quel prolungato e violento tuono primaverile, la mia prima preoccupazione fu quella di spalancare le finestre per attenuare, per quanto fosse possibile, quell’ondata maleodorante che si stava propagando in maniera sinuosa aggredendo ogni angolo, ogni parete, tutto! E fu allora che Ridley venne fuori. Ridley è la mia iguana. Molte volte nel corso degli anni mi è stato chiesto come mai l’avessi portata con me proprio quel giorno così importante per la mia carriera. È che il piccoletto quando rimane da solo a casa va sempre a mangiare i tappi delle mie penne (lo fa ancora quando non sto attento) e questo gli fa venire la colite. Ironia della sorte il suo problema quella mattina ce l’avevo io. Dicevo insomma che Ridley cominciò a correre per la stanza… sì, le iguane non corrono, ma le avete mai sottoposte a una tortura simile? Un’ora e mezza nei miei pantaloni ad assaggiare aromi esotici non piacerebbe neanche a un cadavere. Quando il direttore rientrò nella stanza (ormai congelata) io armeggiavo disperatamente con un suo cassetto, tirando calci come un ossesso perché quel mattacchione di Ridley si era andato ad infilare lì dentro e non c’era modo di farlo venire fuori. Facile immaginare che il direttore non apprezzò quella mia dimostrazione di virile furore e mi mandò fuori a calci. In senso letterale intendo. Ma io non potevo abbandonare così Ridley. Spinsi via il vecchiaccio incravattato facendolo rotolare al suolo e mi ripresi la mia iguana. Mentre uscivamo, il direttore ci fissava da terra con uno sguardo terrorizzato che Ridley sosteneva spavaldo. Mi sedetti fuori a riflettere seduto sul marciapiede. Eravamo in aperta compagna e Ridley mi si appollaiò sulla spalla come un fido pappagallo. Mentre le lacrime stavano per sgorgare dai miei occhi al pensiero di come avrei fatto a pagare le bollette, un tizio fermò la sua vecchia Ford al lato della strada deserta con una borsa in mano. Era un fotografo di origine italiana, era nato in un piccolo paesino che si chiamava Brossate. Mi chiese se poteva immortalare quella scena desolante. Io non gli risposi, scrollai semplicemente le spalle rassegnato. Quel servizio fotografico mi fruttò ventimila dollari. Quello fu l’iniziò del mio impero. […]

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Certo che portare l'iguana nei pantaloni è una scelta di vita!Anche se dovesse essere un semplice portafortuna!!! Ma poi fammi capire tutto fumo e niente "cagotto"?
Emionirico

Alex K.C. ha detto...

@Emionirico: Tutto fumo... è che il fumo a volte può essere anche più invasivo... almeno per le narici!

Anonimo ha detto...

Good words.